Democrazia Immunitaria

L’11 settembre, la crisi economica del 2008 e la pandemia globale sono i tre grandi avvenimenti di questo secolo.  I primi due non hanno portato miglioramenti. C’è ragione di essere più ottimisti sul futuro?

Attualmente siamo ancora dentro questa catastrofe ed è difficile fare previsioni. Certamente, sarà un mondo diverso: la pandemia è un avvenimento dirompente, anche più dei due precedenti, e ridisegna questo secolo. Imporrà cambiamenti esistenziali, perché è cambiata la vita quotidiana di ognuno di noi. E i cambiamenti sono difficili da giudicare.

Il virus ha fermato l’asfissia capitalistica, il continuo muoversi verso un obiettivo, la folle accelerazione delle nostre vite: il 2 aprile due miliardi di persone erano confinate in casa, una situazione senza precedenti. Rispetto a questo mondo lanciato verso un extraprofitto continuo, le reazioni singole, individuali, sono votate a non avere nessun effetto, nessun risultato. È difficile dare alternative perché in fondo sembrano non essercene: non riusciamo a immaginarle, e anche questo dovrebbe far riflettere. Viviamo in un momento storico in cui l’alternativa è stigmatizzata prima ancora di manifestarsi.

Le democrazie occidentali prevedono dei confini: chi è dentro ha una serie di tutele, di diritti, di protezioni, e chi è fuori può essere esposto a ogni evento, dalle pandemie alle guerre. Cos’è che ognuno di noi dunque desidera?  Non solo essere tutelato, ma essere proprio immunizzato: non correre il rischio di essere contaminato da chi è fuori dai confini.

La brutalizzazione della società, il rifiuto dei migranti, del “diverso”. Non ci si rende conto che questi confini sono labili ovviamente, come si vede in questi giorni persino all’interno dell’Italia: i calabresi non vogliono i milanesi. La democrazia immunitaria, l’idea di considerare l’altro come un untore, è molto pericolosa. Bisogna porsi il problema delle conseguenze che crea.

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