Carta contro Schermo

A partire almeno dagli anni Ottanta, i ricercatori di diversi campi, dalla psicologia all’informatica fino alle neuroscienze, si sono interrogati sul tema della “digitalizzazione” della lettura. Non si tratta solo di libri. Lo sfondo della discussione è la pervasività nella nostra vita quotidiana delle tecnologie digitali, tra schermi e connessioni Internet, su cui si sono fronteggiate per un po’ di tempo due opposte scuole di pensiero.

Secondo lo scrittore americano Nicholas Carr, il sussidio costante delle nuove tecnologie delle nuove tecnologie, il loro “brusio incessante e ipnotizzante”, indebolisce le nostre capacità cognitive e ci rende in qualche modo più stupidi. Per colpa di Internet si andrebbe erodendo non solo la nostra umanità, ma anche la nostra intelligenza.

A questa posizione in tanti hanno risposto citando le rivoluzioni tecnologiche e culturali del passato, guardate inizialmente con sospetto e paura, e poi normalizzate e integrate senza conseguenze nefaste. Del resto, si ricorda, perfino Socrate temeva che la “nuova tecnologia” della scrittura, permettendo di fissare i pensieri su carta invece di fare lo sforzo di tenerli a mente, avrebbe comportato un indebolimento della memoria e della capacità di giudizio.

Ci sono episodi che sembrano dimostrarlo in maniera convincente. Alberto Manguel racconta nel suo Una storia della lettura (Feltrinelli) che nei primi secoli dell’era cristiana, un giovane insegnante di retorica latina, in visita al vescovo Ambrogio a Milano si stupì molto di vederlo leggere silenziosamente: il testo, fin dall’antichità, era scritto per essere pronunciato ad alta voce. Tanto che la classica frase scripta manent, verba volant aveva il significato opposto a quello che noi le attribuiamo: era la lode della parola pronunciata ad alta voce, che vola con le sue ali, invece di rimanere fissa e immobile sulla pagina scritta. Quell’insegnante di retorica sarebbe poi diventato Sant’Agostino, e la lettura muta l’aveva tanto colpito da riferirne nelle Confessioni. In effetti, sostiene Manguel, era davvero un passaggio rivoluzionario: permetteva un nuovo rapporto, intimo e senza testimoni, tra il libro e il lettore, era un modo di appropriarsi del testo, di metterlo in relazione con altre letture, altri autori, altri pensieri. In fondo, contribuiva alla creazione dell’uomo moderno, “una combinatoria d’esperienze, d’informazioni, di letture”, come ha scritto Italo Calvino.

Certo è che indietro non si torna. E quindi, più che puntare a eliminare la tecnologia, la battaglia è per accertarsi come e in che modo governarla.

Per i bambini piccoli, la fisicità di un libro e la possibilità di ripetere parole sono i puntelli che sostengono le prime esperienze di lettura. Negarle a favore di uno schermo sarebbe sbagliato, secondo la neuroscienziata Maryanne Wolf. Anche il primo apprendimento della lettura a scuola dovrebbe avvenire su libri di carta. È in questo periodo che può avvenire l’incontro con gli schermi e il testo digitalizzato. Di lì in avanti si tratterà di riflettere bene e indagare su quali siano i metodi migliori per insegnare tutte le abilità indispensabili alla vita contemporanea, senza però perdere quella essenziale alle altre: leggere, e dunque pensare in profondità.

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