Agenda del contro-esodo

Due milioni di case inutilizzate in 5.627 borghi. Lontano dalle grandi città, con pochi servizi. L’Italia dei piccoli comuni, due terzi del totale nazionale, potrebbe fornire la risposta al bisogno dell’abitare e di stili di vita più sostenibili.

Anci, da tempo, ha stilato una propria Agenda Contro-esodo che mette al centro i comuni interni, periferici, rurali, montani, di minori dimensioni demografiche, che coprono però, per estensione, il 54,1% della superficie complessiva della penisola. Aree che presentano vantaggi per la qualità della vita dei cittadini, che assicurano, attraverso la cura dei residenti, la salvaguardia della natura nonché la tutela della terra e la conservazione del paesaggio.

L’insieme di queste esternalità positive per l’ambiente, i cosiddetti «servizi ecosistemici» valgono, almeno 93 miliardi l’anno, quasi il 5% del PIL. Fare emergere questo valore e trasformarlo in pagamenti è una sfida decisiva per una prospettiva di sostenibilità, in tempi di cambiamento climatico e dissesto idrogeologico.

Mentre si costruiscono casermoni nelle periferie urbane, negli ultimi 40 anni sono stati ben 2000 i piccoli centri che hanno perso l’80% popolazione, e tra questi 120 tra dal 60 all’80%. Occorrono interventi sulle case in abbandono. Spesso non sono state fatte le pratiche di successione, i proprietari sono emigrati. Lo Stato deve intervenire per far sì che diventino un bene collettivo, così come il nostro paesaggio. Non investire in questi territori è, invece, un doppio danno per la collettività.

Ma per fare questo occorre collocare risorse nazionali da subito, ad esempio, sulla banda larga, in ritardo mostruoso rispetto al resto dell’Italia, e sulla mobilità. Questo si somma a paesi che sono nelle cosiddette aree bianche che sono quelle considerate a fallimento di mercato per i gestori delle comunicazioni. Zone scoperte dalle linee telefoniche, dati, fibra, pochi megabyte. Ci sono ancora tante zone in Italia tagliate fuori dal mondo. E questo si vede nelle aree terremotate.

Occorre una fiscalità differenziata per le aree marginali.  Ripopolare le zone ad alto valore ecosistemico, cioè dotate di capitale naturale, sarebbe poi un vantaggio. Sia per il clima che per prevenire il dissesto idrogeologico. Dobbiamo renderci conto che alle spalle delle grandi città abbiamo un nuovo Ovest, ricco di risorse naturali e fonti rinnovabili.

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