Il bias della conferma

Il bias di conferma era già noto agli antichi greci. Tucidide (460 a.C. – 395 a.C.), storico e tra i principali esponenti della letteratura greca osservava che le persone “affidano a una speranza incurante ciò che desiderano sia vero e, al contrario, usano la ragione per mettere da parte ciò che è scomodo”.

Nel 1620, il filosofo inglese Francis Bacon nel suo libro Novum Organum Scientiarum affermava che “quando una persona matura un’opinione, tenderà a considerare unicamente tutte le prove che la rafforzano o a interpretarle in modo funzionale ai propri obiettivi. E anche di fronte a tanti elementi che ne contraddicono le opinioni, tenderà a ridurne o addirittura negarne la consistenza”.

Il bias di conferma può aiutarci a spiegare una serie di fenomeni, ad esempio perché gli stereotipi razzisti o sessisti resistano nel tempo. Una persona sessista può trascurare ogni tipo di evidenza empirica a proposito di donne brave in matematica e uomini che sono in grado di prendersi cura dei propri figli, mentre sarà ben più veloce nel riconoscere tutti quei casi che invece dimostrano il contrario.
Ugualmente, una persona razzista può non notare tutte le persone di un’etnia diversa che lavorano sodo per mantenere la propria famiglia, pagano le tasse e si comportano da onesti cittadini, mentre presterà molta più attenzione a tutti coloro che non lo fanno.

Il bias in questione spiega anche perché alcune teorie del complotto hanno successo anche quando ne viene dimostrata l’infondatezza e la falsità. Il tipico sostenitore delle tesi complottiste passa il tempo a difendere e diffondere briciole di evidenza empirica a sostegno della sua teoria, tralasciando invece tutte le prove che la smentiscono (Angner, 2017).

Pensate, a cosa sta accadendo proprio in questi giorni. Ecco la testimonianza riportata dalla Stampa di Roberta Petrino, capo del reparto di Medicina e chirurgia d’accettazione e d’urgenza dell’Asl di Vercelli.

È capitato di doversi confrontare con pazienti che, pur clinicamente positivi e perfino sofferenti a causa del virus, sostenessero che non si trattasse di covid. Interpretavano il nostro intervento medico quasi come una costrizione. Pochi, per fortuna, ma è successo».

La cosiddetta “bolla di filtraggio” (in inglese “filter bubble effect”) è un altro esempio di fenomeno social che amplifica e facilita la nostra tendenza cognitiva verso il bias di conferma.

Il termine è stato coniato dall’attivista di Internet Eli Pariser per descrivere l’isolamento intellettuale che può verificarsi quando i siti web e i social network utilizzano algoritmi per prevedere le informazioni che un utente vorrebbe vedere e quindi fornire informazioni all’utente in base a questa previsione.

E così, ad esempio, i conservatori tenderanno a leggere giornali conservatori o blog che pubblicano contenuti a sostegno delle idee dei conservatori e i progressisti, viceversa, leggeranno giornali progressisti o seguiranno blog che ne sostengono le idee (Angner, 2017).

Come conseguenza di questo processo, gli utenti tendono sempre più ad aggregarsi in comunità di interesse piuttosto chiuse che grazie ad un costante rinforzo, favoriscono la segregazione e la polarizzazione. Tutto ciò a discapito della qualità delle informazioni e incrementando la proliferazione di narrazioni distorte fomentate da voci infondate, sfiducia e paranoia (Del Vicario et al. 2016).

processi metacognitivi, ovvero la capacità di essere consapevoli e riuscire a controllare i processi cognitivi, sono le armi di cui possiamo e dobbiamo dotarci per contrastare e limitare gli effetti di questa distorsione cognitiva di cui siamo vittime spesso senza rendercene conto (Rollwage et al. 2020).

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