Gli animali facevano da intermediari tra l’uomo e le sue origini, perché erano simili a lui e al tempo stesso diversi.
John Berger, Perché guardiamo gli animali?
Da tempi molto lontani i bestiari autentici e quelli immaginari concorrono in parti quasi uguali al disegno della zoologia così come la conosciamo, o crediamo di conoscerla. Si sono a lungo specchiati, imitati a vicenda, guardati a seconda dei casi con rispetto e con sospetto, i due generi: finché qui, per la prima volta, non si ritrovano fusi in qualcosa di nuovo.
Nel “Libro degli esseri a malpena immaginabili“, Caspar Henderson è andato a trovare dove nemmeno li si cercherebbe – nelle profondità degli oceani, negli angoli più inospitali di deserti roventi – intere famiglie di viventi di cui tutto ignoravamo, a cominciare dall’aspetto; oppure ha raccontato particolarità di animali tanto vicini a noi da risultarci, ormai, quasi invisibili.
Al centro del libro nel concetto di “perturbante”, che ha introdotto Freud. Oggi si parla spesso del concetto di uncanny valley: per esempio quando guardiamo i robot, che sono simili a delle persone ma anche molto diversi. C’è qualcosa di perturbante, di unheimlich in tedesco, di strano. Il dubbio è proprio questo: questa creatura, o robot, o qualsiasi cosa sia, questa presenza è simile a me? Ha una mente, delle intenzioni? Che cosa pensa, prova, conosce? Non sappiamo deciderci, siamo in dubbio, potrebbe esserci anche un fondo di paura, timore, forse anche disgusto. Disagio, sicuramente.