Smetti di leggere notizie

La pandemia ha avuto un impatto enorme sull’informazione sul giornalismo in tutto il mondo, portando all’estremo alcune dinamiche rimaste in nuce da qualche anno, sia in relazione al come si fa giornalismo in questa epoca, che all’economia del giornalismo. Troppo spesso si è tenuto a mantenere i due campi separati o a pensare che non vi fosse necessariamente un punto di contatto tra la sfera editoriale e quella economica del lavoro giornalistico quando, al contrario, specialmente per il giornalismo online, i modelli di business hanno ricadute esplicite sui contenuti messi a disposizione.

Se non vi è una correlazione diretta, o un rapporto di causa-effetto automatico, è però sempre più palese come certi mostri tipici del business del giornalismo su Internet ne abbiano generati altri sul fronte dei contenuti e delle attitudini nei confronti delle audience. In primis, la necessità di servire il business model della pubblicità online, largamente basato sull’accumulo di attenzione e click da parte dei lettori, ha contribuito a fare del clickbait – ovvero l’abuso di titoli sensazionalistici o toni particolarmente enfatici – una pratica purtroppo comune e utilizzata quotidianamente anche da testate che vantano o vorrebbero vantare una credibilità contenutistica alta.

La pandemia ha inevitabilmente fatto da amplificatore e moltiplicatore di questi problemi, venendo a colpire un settore che timidamente stava cercando di riemergere da più di un decennio di crisi economica già profondissima.

Un libro uscito di recente ed edito in Italia da Il Saggiatore, Smetti di leggere le notizie, dell’autore svizzero Rolf Dobelli, contiene diversi spunti interessanti e utili per tentare di immaginare il giornalismo post-pandemia. Il libro di Dobelli parte da un presupposto: “le notizie sono per la mente quello che lo zucchero è per il corpo”.

L’autore fa riferimento, nello specifico, a quel genere di contenuti giornalistici brevi, che si limitano a portare alla nostra attenzione l’esistenza di un fatto, spesso proveniente da contesti che poco toccano il vissuto quotidiano dei lettori e delle lettrici.

Per Dobelli, questo genere di contenuti aggiungono ben poco valore alla nostra comprensione del mondo e dei nostri tempi e, anzi, contribuiscono al complessivo information overload fornito dal giornalismo contemporaneo e alla passività delle audience. Il libro è un elogio dello slow journalism e consiglia ai lettori di intraprendere una dieta giornalistica, replicando quella del suo autore, al fine di ridurre al minimo il consumo di “notizie” e favorire invece la fruizione di contenuti più ricchi, lunghi e strutturati, come reportage, approfondimenti o la lettura di libri.

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