C’era bisogno che fosse dichiarato lo stato d’emergenza perché la nostra società riscoprisse il valore curativo della creatività?
La maggior parte di noi accetta stoicamente il decreto, sperando nella collaborazione e responsabilità del resto dei cittadini. Allo stesso tempo, però, è necessario tenersi impegnati ed avere qualcosa da fare per poter resistere al senso di angoscia che ci affligge.
Cresce allora nei cuori di tutti il barlume di una rivelazione: la creatività ci salverà! Si moltiplicano nel giro di pochi giorni le views dei tutorial su YouTube e imperversano sui social i filmati di persone che fanno cose.
Improvvisamente, tutti cantano, suonano strumenti musicali, fanno attività fisica, leggono libri, creano nuove ricette nella stessa cucina dove fino a un mese prima c’erano solo cibi preconfezionati, ricordano l’esistenza di attività manuali che avevano sempre ritenuto impraticabili. L’entusiasmo è a mille.
Il creativo da sempre produce svago, intrattiene, con le sue opere fa da sottofondo ai nostri drammi quotidiani e alle nostre passioni. Ma nell’epoca della riproducibilità tecnica, usando un’espressione di Benjamin, la star che suscita stupore e sgomento sopra ogni cosa, non è più l’arte che viene riprodotta in serie, bensì la macchina che la produce.
La tecnologia sembrava l’unica via di realizzazione della nostra vita. L’artigianato è un mercato di nicchia, misterioso e distante. I giovani artigiani che si dedicano ad antichi mestieri sono considerati anacronistici: allievi della propria arte, troppo pazienti e concentrati per una società che manifesta continuamente forti deficit dell’attenzione. E così, l’arte che pensava che il progresso tecnico l’avrebbe aiutata a risplendere, si è ritrovata ad esso subordinata, perché è quest’ultimo che, più di tutto, attira i fruitori del mercato. Ma la vita è imprevedibile e nel momento in cui non abbiamo (quasi) nulla da fare, a parte lo smart working, abbiamo riscoperto che esiste ancora quella cosa che si chiama creare.
«La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia»
Arthur Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)
Sta a noi prolungare il più possibile quell’intervallo di piacere ed ebrezza, fare in modo che il desiderio del benessere non sia soltanto un’illusione. Possiamo contribuire attivamente a generarlo, mediante le nostre azioni creative, non solo durante l’allerta del Covid-19, ma anche quando lasceremo le nostre case, per tornare alle nostre attività abituali.