Il Collasso del Petrolio

Non è una crisi passeggera questa, e quando sarà finita ci restituirà a un mondo diverso da quello che abbiamo chiuso fuori dalla porta all’inizio del lockdown. Tra i molti modi in cui la pandemia da COVID-19 sta cambiando il mondo c’è anche la crisi senza precedenti che ha contribuito a creare sul mercato del petrolio. E vale la pena seguirla, quella crisi, anche se le nostre attenzioni sono comprensibilmente monopolizzate dall’emergenza sanitaria e il prezzo della benzina non può essere, oggi, la nostra maggiore preoccupazione.

Perché in un modo o nell’altro questa crisi deciderà gli assetti geopolitici del mondo che verrà, segnerà una svolta nel percorso verso la transizione energetica, e influirà in modo determinante sugli sforzi per limitare il riscaldamento globale (che, ricordiamolo, è anche un fattore che contribuisce a rendere pandemie come questa sempre più probabili). 

Da settimane, i principali indici dei prezzi del petrolio oscillano tra i 20 e i 30 dollari al barile. Oscillano anche molto da un giorno all’altro, con brusche cadute e risalite. Ma nel complesso siamo ai livelli più bassi toccati dal 1998, quando il prezzo precipitò per qualche mese a causa del tracollo delle economie asiatiche.

La crisi è innescata da due fattori che, secondo quanto i libri di economia insegnano su domanda e offerta, non dovrebbero coesistere. Da una parte, crollo della domanda senza precedenti, perché la pandemia di COVID-19 tiene ferme le economie di mezzo mondo. Dall’altra, eccesso smodato di offerta causato da una guerra di nervi tra i grandi produttori, in particolare Arabia Saudita e Russia. Il risultato è che il mercato è inondato di petrolio che in questo momento nessuno vuole.

Secondo Giuliano Garavini, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università Roma Tre, e autore lo scorso anno del libro The rise and fall of OPEC in the 20th century, “il precedente più simile è il controshock petrolifero dei primi anni Ottanta. Allora, dopo un decennio di prezzi alti, la domanda calò a causa della recessione negli Stati Uniti, mentre l’offerta aumentò per l’arrivo del nuovo petrolio del Mare del Nord, estratto soprattutto da Gran Bretagna e Norvegia. A quel punto l’Arabia Saudita, stanca di limitare la produzione per stabilizzare i prezzi, decise di inondare il mercato di petrolio e offrire forti sconti”.

Secondo Goldman Sachs la domanda mondiale di greggio, che nel 2019 è stata in media attorno ai 100 milioni di barili al giorno, scenderà almeno per aprile di 20, forse 25 milioni di barili al giorno – e continuerà così finché dureranno i lockdown delle maggiori economie. Per raffronto, dal 1985 si sono registrati solo tre anni in cui la domanda mondiale di greggio è calata, e persino nel 2009, all’apice della Grande Crisi, calò di “appena” 1 milione di barili al giorno. 

Tra poco non si saprà più dove mettere il greggio in eccesso. Entro due o tre mesi si riempiranno le riserve strategiche degli Stati, così come i grandi serbatoi commerciali per l’immagazzinamento di petrolio, concentrati nei grandi porti e comunque accessibili solo ai grandi produttori. Per i più piccoli, i guai arriveranno già tra pochi giorni, tanto che i produttori americani stanno esplorando soluzioni di pura emergenza, come trasformare in serbatori i treni cisterna parcheggiati nelle stazioni. Quando tutti i serbatoi saranno pieni, molti dovranno per forza fermare i pozzi e falliranno. E qui si apre un altro problema, perché un impianto petrolifero non è un negozio di cui si può semplicemente tirare giù la saracinesca: fermarlo è una complessa e costosa operazione che può avere un forte impatto ambientale.

Presto o tardi l’eccesso di offerta verrà comunque frenato, o perché Arabia e Russia sospenderanno il braccio di ferro o perché altri paesi saranno semplicemente costretti a smettere di pompare greggio. Il prezzo salirà un po’ ma il crollo della domanda, ormai vero protagonista di questa storia, sarà ancora lì. E l’industria del greggio ne uscirà trasformata. 

Come finirà, e che strada prenderà il mercato dell’energia dopo questa crisi? In questi giorni può capitare di leggere analisi che sostengono, con altrettanta convinzione, che la tempesta sul mercato del petrolio segnerà una brusca battuta d’arresto per la lotta al riscaldamento globale e per la riduzione delle emissioni, o che al contrario porterà un’accelerazione verso la transizione alle fonti rinnovabili.

Secondo Garavini, conteranno molto le previsioni del futuro che in questo momento stanno formulando le grandi banche o dall’Agenzia internazionale dell’energia (IEA), quei ponderosi rapporti annuali in cui si ipotizzano gli scenari del mercato energetico da qui a 50 anni. “In passato si sono spesso rivelate sbagliate, ma hanno lo stesso orientato le scelte, in una certa misura si autoavverano. Se ora quegli scenari smettono di descrivere una domanda di greggio in crescita fino al 2030, tutti dovranno modificare le loro politiche. Un mondo in cui la domanda di greggio cala strutturalmente è un mondo diverso da quello che abbiamo conosciuto finora”. I prossimi mesi diranno se siamo già in quel mondo, e quanto sarà diverso.  

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