I 40 anni della Rosa di Varsailles

Oscar François de Jarjayes nacque nel 1755 non lontano da Versailles. Ennesima figlia femmina di un generale fedelissimo dei sovrani di Francia, che decise di crescerla come un maschio per tramandarle il grado militare. A 14 anni diventò capitano della Guardia Reale e leale amica e servitrice della futura regina Maria Antonietta, sua coetanea, arrivata a corte per sposare il principe Luigi Augusto, nipote di Luigi XV. I fatti della sua vita si intrecciarono con quelli della storia di Francia, fino ai giorni della presa della Bastiglia.

fonte Wikipedia

Tutta la vicenda ebbe origine da “Versailles no bara“, un manga di Riyoko Ikeda che riscosse un clamoroso successo in Giappone tra il 1972 e il 1973. “La rosa di Versailles”  era la regina Maria Antonietta d’Austria.

Nel 1979 venne realizzato l’anime, con il character design affidato allo studio di Shingo Araki, già famoso all’epoca (disegnò anche numerosi episodi di Ufo Robot Goldrake) e in seguito decine di serie esportate con successo in tutto il mondo (I cavalieri dello zodiaco, Rocky Joe, Kiss Me Licia, Il grande sogno di Maya, per citarne solo alcune).

La regia fu inizalmente affidata a Tadao Nagahama, molto esperto di robottoni, ma poco di madamigelle spadaccine. Questa scelta si rivelò inadeguata. Nagahama fraintese la natura del manga, trascurando quegli aspetti tragici, sentimentali ed emotivi che rendevano unica la storia.

A sei anni dalla sua conclusione, il boom del manga si era ormai sgonfiato, e a poco servirono un cast di doppiatori di prima categoria e una colonna sonora monumentale. Le prime dieci puntate registrano un clamoroso flop e la produzione affidò la regia a Osamu Dezaki, che subentrò quasi a metà dell’opera.

Da quel momento il registro della storia divenne epico e ricco di pathos. Ma la trasmissione della era ormai compromessa e venne comunque interrotta, ad eccezione della zona di Tokyo, dove arrivò sino all’ultimo episodio.

Al contrario, in Europa l’anime ottenne un successo straordinario. Nel corso degli anni Ottanta “Lady Oscar” diventò un vero e proprio cult. L’eco del trionfo europeo giunse fino in Giappone e di rimbalzo la serie venne riscoperta e apprezzata anche lì.

A differenza del manga, l’anime è imperniato sull’ambigua e complessa figura di Oscar, la cui storia è nota.

Oscar è dunque una donna in abiti maschili, cresciuta come un uomo. La stessa tematica era al centro del primo shojo manga degno di nota mai pubblicato, La principessa Zaffiro di Osamu Tezuka, datato 1953. Siamo agli albori del fumetto seriale giapponese e già compaiono “cavalieri con il fiocco” (ovvero “Ribon no kishi”, titolo originale dell’opera). Oscar, come Zaffiro, rinuncia alla sua femminilità per andare incontro al volere del padre, ma una volta cresciuta, come Zaffiro, perde la testa per un uomo e mette in discussione se stessa e la vita che ha condotto fino a quel momento.

Zaffiro corona il suo sogno sposando il principe del regno vicino (il manga di Tezuka ha senza dubbio toni meno cupi), mentre Oscar si rende conto dell’impossibilità di avere l’amato conte di Fersen e decide di cambiare drasticamente vita. Rinuncia alla Guardia Reale e diventa comandante dei soldati della guardia cittadina di Parigi, tutt’altro ambiente rispetto allo sfarzo di Versailles. A nulla serve la dichiarazione d’amore del suo attendente e amico di sempre, André, che nella ventottesima puntata afferma che «una rosa è una rosa e non potrà mai essere un lillà».

Oscar non accetta di doversi piegare alla sua natura femminile, e le vicende della sua vita prendono una piega sempre più drammatica, così come quelle della Francia intera. Un’intera generazione di bambini incollati al televisore – quella nata tra fine anni Settanta e primi anni Ottanta – sperava nel lieto fine, ignorando che la Rivoluzione francese era dietro l’angolo.

Gli adolescenti degli anni’80 impararono la storia della Francia attraverso i pomeriggi passati davanti ai contenitori dedicati ai ragazzi di Italia 1. Forse questo successo ha persino anticipato o oscurato le conoscenze, almeno per alcuni, sulla storia del nostro stesso paese. Oltre ai sovrani, nell’anime compare tutta la schiera di personaggi storici che i giovani spettatori avrebbero ritrovato nei libri di scuola, da Robespierre a Saint-Just, e la drammatizzazione in forma di cartone animato della Rivoluzione tocca vette altissime di coinvolgimento emotivo. Il destino della Francia prende il sopravvento sulle vicende personali dei protagonisti e, ancora una volta, la complessità dei caratteri viene a galla a tutta forza.

Il pubblico, per quanto innamorato di Maria Antonietta, personaggio dalle mille sfaccettature, sa bene che la Storia va da un’altra parte. Il 14 luglio 1789 sarà Oscar a far detonare i cannoni contro la Bastiglia, tormentata dalla perdita dell’adorato André, morto il giorno prima tra le sue braccia, colpito da una pallottola di un soldato della guardia reale. E così morirà anche lei, davanti ai suoi uomini, uccisa da un colpo di fucile.

Impossibile dimenticare, per chi era sintonizzato sugli schermi tv nei primi anni Ottanta, l’epicità di quegli ultimi momenti. Così come, dopo un’epopea durata quaranta puntate, è impossibile non associare ancora oggi la storia di Oscar François de Jarjayes ai fatti francesi che hanno sancito l’inizio dell’età contemporanea. Per tanti europei, la storia della Rivoluzione francese è passata per il racconto emozionante di quel cartone animato giapponese. E ancora oggi, ogni 14 luglio, sul web le gif a dedicate a Lady Oscar ci testimoniano quanto questa invenzione di Ikeda e poi di Dezaki sia un frammento essenziale del nostro immaginario, a cavallo tra finzione e realtà storica.

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