La società che vogliamo ha bisogno di + Europa

Domenica 26 maggio si svolgeranno le elezioni del Parlamento Europeo. Ma questa consultazione sarà determinante per il futuro del nostro Continente in quanto traccerà la via di uscita dalla crisi del 2008. Si tratta infatti non solo di eleggere i rappresentanti dei paesi membri nell’Assemblea di Strasburgo, ma anche e soprattutto di decidere il modello di società che vogliamo.

Il populismo è davanti a noi, avanza nella società e in alcuni partiti. Si nutre della paura. Oggi il sentimento che sibila nelle nostre città porta con sé parole che sono come erbacce in seno alla società: “rifiuto”, “paura” e “anti” (come prefisso dell’esclusione). Il populismo non unisce partiti, donne e uomini in un sentimento comune verso un obiettivo comune. Non ha bandiera, il populismo, né si fonda su un programma politico reale. È raggruppamento di individui che hanno come fine un proprio e personale scopo. Il populismo che vince lascia ai posteri le macerie di una società senza organizzazione, di una comunità senza spirito comunitario. L’unica unione che promette è quella della paura.

Alle parole che dividono occorre contrapporne altre che uniscono. Alle paure distruttive del populismo contrapponiamo la fiducia! Verso le istituzioni come mediatrici tra la società e i suoi bisogni, verso una politica realista, pragmatica e creativa che non insegue ideologie o convinzioni precostituite. La buona politica è senza dogmi ed applica il buonsenso e il buon governo laddove sono richiesti, ed entrambi non sono né di destra né di sinistra.

Come uscirne?

Al rifiuto del diverso, dell’emarginato sociale, del debole, dell’altro da sé noi contrapponiamo la comunità e lo spirito dell’uguale: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto” (John Donne). Ciò che ci unisce, infatti, è l’idea di una cittadinanza attiva, libera e partecipe il cui battito vitale viene ritmato da diritti e doveri. I diritti sanciti dalla Costituzione, i doveri dallo spirito civico e civile. All’odioso prefisso dell’esclusione “anti”, infine, contrapponiamo l’unità che sprigiona l’inclusione: il rischio di una maggioranza è di porre ai margini della dialettica democratica le varie minoranze. In un mondo globalizzato e interconnesso, in una società multiculturale, laica ed europea “noi” e “gli altri” sono idiomi che non hanno ragione di esistere.

L’integrazione, di per sé, è un termine sbagliato perché implica necessità di accettazione. L’inclusione, invece, è l’unione che supera le paure, è la condivisione che vince l’indifferenza, l’accoglienza che vince la marginalizzazione. La politica sta abbandonando il ruolo di guida culturale perché nel suo lessico sta lentamente inserendo il linguaggio della paura: non si presenta più al timone della nave e in più teme l’impopolarità, preferisce inseguire le ansie, le inquietudini e le angosce della società.

Di fronte a tutto ciò, quello che possiamo fare noi è metterci in gioco. Probabilmente non esiste il potere di creare dal nulla l’Italia e l’Europa che desideriamo, ma è arrivato il tempo di cominciare a pensare che cosa possiamo fare nel breve e nel lungo termine, cercando di ottenere il massimo in un contesto storico devastato dalle incertezze. Stiamo davvero costruendo il mondo che desideriamo?

Quale idea di Europa?

La risposta è una Europa unita da uno spirito culturalmente unitario. Ci sentiamo italiani d’Europa, ed europei d’Italia. Sentiamo che l’anima dell’Europa, culla del liberalismo, della democrazia e dell’illuminismo è la nostra casa e il nostro futuro unitario. Come cittadini europei siamo legati dalla storia, dalla cultura e dalla politica, mentre oggi i problemi italiani sono problemi europei, come la crisi in seno alla nostra società è una crisi europea. Victor Hugo diceva che “La guerra in Europa è una guerra civile”, e dunque affermiamo che l’Europa è il nostro domani: qualsiasi altra cosa lontana da questo concetto non ci rappresenta.

Facciamo nostre le parole delle istituzioni, non quelle delle ruspe, che servono per demolire, e alle barriere, che servono per dividere, contrappongono la pietra che edifica e i ponti che uniscono.

Ma quale Europa? Certamente quella dei diritti e della democrazia. L’Europa ha in sé delle contraddizioni da sanare e per farlo ha bisogno di ristabilire il primato della politica sull’economia e sulla finanza. Una democrazia che riunisca le nazioni europee sotto un unico presidente e i cittadini europei sotto una grande bandiera. Non saremo mai italiani d’Europa fino a quando non ci sarà un vero spirito democratico superiore alla burocrazia europea.

Quale idea di Italia?

Ma non esiste un’Europa senza le sue nazioni: le nazioni  prive di unità sono come navi lasciate alla deriva. L’unità è data da nazioni forti, libere ed eguali. Lincoln diceva che sono tre le cose che formano e consolidano una nazione: le sue leggi, i suoi cittadini, le eccellenze e le ricchezze che derivano dalla sua terra. La società che vogliamo getterà le sue fondamenta su queste caratteristiche chiave: giustizia e uguaglianza di fronte alla legge, entrambe con l’obiettivo di trattare l’umanità sempre come fine e mai come mezzo, massima kantiana che deve diventare legge universale.

Civiltà, solidarietà e partecipazione rappresentano invece il nucleo di una comunità e lo spirito del cittadino, al quale devono essere garantiti diritti ma deve essere richiesto anche il rispetto dei doveri: questi ingredienti rappresentano la vita dinamica di una nazione e, uniti insieme, accendono la scintilla che dà vita alle comunità in cammino verso una mèta condivisa; infine la ricchezza delle nazioni è data dalle sue peculiarità: tutelare, sostenere e promuovere i suoi prodotti e le sue eccellenze, il proprio genio umano e intellettuale e le proprie imprese.

Ciò può essere raggiunto solo se vi è garanzia di una politica solida e forte, controbilanciata al suo interno da una maggioranza robusta che governa e un’opposizione intransigente che pone limiti e paletti. Se vi è, in buona sostanza, garanzia di una politica eretta sulle idee e sul pragmatismo, realista e convinta che la creatività e l’intelligenza vincano sulle ideologie. Al centro degli ideali politici consideriamo i cittadini con i loro bisogni e non l’elettore con le sue richieste particolari.

L’idea di Italia, dunque, è l’idea di un Paese forte e governabile, custode delle sue eccellenze, cultore della legge e aperto a una politica attiva e partecipata.

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