Teletrasporto, inquietante azione a distanza

Einstein non lo riteneva possibile e la chiamava “spooky action at a distance”, “inquietante azione a distanza”. Ora l’espressione è diventata il titolo di un libro di George Musser, uno dei più popolari divulgatori della fisica teorica della rivista Scientific American, appena pubblicato da Adelphi.

Il significato più esatto di “spooky” è “spaventoso”, nel senso dei fantasmi. Per Einstein ammettere l’esistenza del teletrasporto equivaleva a riconoscere una realtà soprannaturale. Per molti scienziati dell’epoca era una specie di scomunica.

Einstein mostrò in un famoso articolo che, secondo la meccanica quantistica, due particelle potevano influenzarsi istantaneamente a distanza, una possibilità negata dalla teoria della relatività. Le spiegazioni possibili erano due. La meccanica quantistica potrebbe “non essere completa”, cioè potrebbero esserci proprietà della materia che ne determinano il comportamento ma che ancora non abbiamo scoperto. Oppure si sarebbe dovuto buttare a mare il principio di località.

La “località” sembrava una proprietà indiscutibile della realtà, prima ancora della teoria fisica: significa che ogni cosa ha una posizione ben precisa e che le cose interagiscono prima con quelle a cui sono vicine. Nella teoria della relatività di Einstein, questo si traduce in una proprietà ben definita: particelle, onde, segnali non possono trasmettersi istantaneamente da un punto all’altro, visto che non possono viaggiare più velocemente della luce (300 mila chilometri al secondo). Rinunciare a questo limite significava abbandonare la teoria della relatività ristretta, a cui la stessa meccanica quantistica doveva parte del suo successo empirico. Impossibile. Fu chiamato “il paradosso EPR” dalle iniziali dei suoi scopritori.

Negli anni sessanta, tuttavia è stato possibile osservare il fenomeno si chiama “entanglement”, cioè “intreccio”, attraverso la generazione in laboratorio due fotoni “intrecciati” (cioè due raggi di luce di debolissima intensità ottenuti dalla separazione di un raggio appena più intenso e che procedono in direzioni diverse). Questi raggi di luce, secondo la meccanica quantistica, hanno proprietà fisiche intrinsecamente casuali, che assumono un valore solo dopo essere state misurate: una di queste è la polarizzazione della luce, lo stesso fenomeno contro cui combattono i fotografi quando vogliono eliminare i riflessi dalle foto con i filtri.

Se i fotoni si allontanano tra loro e si misura separatamente la loro polarizzazione, si ottengono valori statisticamente correlati l’uno all’altro, come se anche a grande distanza i fotoni si “copiassero” istantaneamente l’uno sull’altro. Esperimenti del genere sono stati ripetuti su distanze enormi, come quelle che separano la terra dai satelliti in orbita.

Se ci si riuscisse con tutte le particelle che compongono un’automobile, riusciremmo a far comparire un’automobile esattamente uguale a un’altra dal nulla: per questo si parla di teletrasporto. Per ora gli scienziati se ne occupano una particella per volta, ma chissà. In ogni caso, la meccanica quantistica sembra decisamente “non locale”.

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