Essere in Casa

La casa è anzitutto luogo antropologico, un luogo abitato dall’uomo che non è solo uno stare, ma anzitutto un esserci.

Andrea Staid, antropologo

Come esseri umani abitiamo costruendoci quel luogo che chiamiamo casa. Attenzione, quindi: la casa non è solo un oggetto, un insieme di colonne, assi, travi, argilla, cemento, tela e tanti altri diversi e possibili materiali.

La perdita di contatto tra abitare e costruire ha reso difficile quel processo culturale che consisteva nel rapporto reciproco tra identità e luoghi. I luoghi sono diventati “alienati” proprio come i loro abitanti. Ed è nato il senso desolato delle periferie, l’omologazione delle prospettive, il somigliarsi di tutti i quartieri suburbani del mondo e con essi si è affermato il senso di anonimia.

Nell’ultimo secolo la casa è diventata un vero e proprio prodotto che molto spesso viene solo usato, attraversato, e che inizia a deperire proprio quando è pronto per essere abitato.

La casa non è uno spazio urbano isolato, ma piuttosto una rete di relazioni sociali, familiari, politiche e di quartiere. In queste trame sociali anche le strade fanno parte della casa, perché sono spazi comuni, dove si condivide la quotidianità, si attuano rituali di riappropriazione. La casa, soprattutto se occupata, non è solo un rifugio, è le relazioni che si costruiscono per produrne la sua legittimità.

Il semplice abitare, se non è contrazione della vita quotidiana nello spazio privato, nella cellula residenziale, è di per sé una forma di resistenza politica.

La resistenza di chi vuole vivere quello spazio collettivamente ci dice tantissimo sulla contemporaneità perché, scrive Luca Molinari in Le case che siamo, “La casa è oggi uno dei luoghi universali da cui ripensare noi stessi e il mondo che abitiamo: è diventata di fatto, un reale laboratorio di comprensione e trasformazione del mondo”.

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